Per vendicarsi di un torto subito a Camogli, un oligarca russo decide di acquistare tutti gli immobili della passeggiata a mare e della parallela via della Repubblica, cercando di trasformare uno dei posti più belli del pianeta in una colonia sovietica. L’ex Ministro dell’Interno, rimbalzato da poco all’opposizione, fomenta la diaspora camoglina baciando crocifissi e rosari a reti unificate, millantando i poteri divini di cui a breve sarà investito per rimettersi alla guida del paese. I pochi clienti di una famosa birreria del luogo sono gli unici a intuire la possibilità di un folle piano politico teso a spingere tutto il paese nel baratro e, tra gli aperitivi lunghi, il sesso, le sbuffate di marijuana e una lunga performance fetish necessaria al parto di un Grande Romanzo Russo, cercheranno di arginarne i danni con un piano ancora più folle. Perché, come sosteneva Nietzsche, l’Eroe è gaio...



CAMOGLI FALCE E MARTELLO
(un estratto)

TATJANA

La conobbi un tardo pomeriggio d’estate. Ero appena arrivata in paese e mi ero crogiolata tutto il pomeriggio in spiaggia per darmi una rinfrescata all’abbronzatura senza dover spendere un patrimonio al solarium, visto che avevo speso una fucilata per sbiancarmi l’ano. Con queste maledette telecamere ad alta definizione non eravamo nemmeno più libere di farci riprendere alla vecchia maniera. I clienti se ne accorgevano se non ti curavi a dovere e bastava un brufolo per perderli. Ora, oltre ai foruncoli, gli utenti si eccitavano davanti a buchi di culo lindi come sottane di chierichetti, come se non sapessero a cosa servisse, fondamentalmente, quel buco lì.

Avevo caldo e il culo in fiamme. Gli acidi usati per il trattamento non dovevano aver gradito l’overdose di raggi uva o il salino o la sabbia, o tutte e tre le cose, e stavo cercando un bar abbastanza tranquillo dove farmi una birra ghiacciata.

Magari un impacco.

Il Blues House Pub, un posto scarsamente illuminato in mezzo alla pedonale nascosta ai turisti parve fare al caso mio. Entrai cercando di abituarmi il più in fretta possibile all’oscurità del luogo. Tutto taceva, soltanto la voce di Bob Marley dallo stereo sembrava sussurrare qualcosa di incomprensibile. Quando mi abituai al buio vidi il barista e un paio di avventori rigidi come statue di sale.

Su un tavolo alla destra del bancone, Tatjana, massacrata dal caldo rivierasco, stava cercando conforto in una mezza bottiglia di vodka ghiacciata e in cubetto di ghiaccio che stava massaggiandosi sui capezzoli turgidi che sembravano voler bucare la sua sottile maglietta bianca.

Quando la vidi, devo ammetterlo, sentii un leggero formicolio alla base del bacino. Tatjana non aveva l’aspetto della classica russa, anzi, sembrava più uno di quegli splendidi incroci che danno vita a sensualità e fascino senza precedenti nelle singole etnie. Alta, con i capelli neri tagliati come la Valentina dei fumetti, in carne senza essere grassa, con un culo e due seni capaci di vanificare da soli tutte le teorie di Einstein sull’interazione gravitazionale e con un tatuaggio floreale e un paio di manici di pistole che le spuntavano dalle mutandine del costume da bagno bianco, trasparente quasi, che lasciava intendere una brasiliana perfetta.

Di colpo ebbi voglia di farmela e, come se quei tre non esistessero, le sedetti accanto senza chiederle il permesso e ordinai una birra. .

Tatjana non sembrò disturbata, con un gesto del capo mi invitò a riempirmi un bicchierino dalla sua bottiglia, così feci e buttai giù la vodka cercando di non pensare che, probabilmente, mi avrebbe infiammata ancora di più.

Lei sembrò percepire i miei dubbi e mi chiese in un italiano stentato da film di spionaggio quale fosse il problema.

«Mi sono sbiancata il culo settimana scorsa» dissi, scandendo le parole «e ora mi brucia.».

Uno degli avventori per poco non cadde dallo sgabello.

Lei annuì con un sorrisino. Vuotò il suo bicchiere e si alzò prendendomi per mano.

«Dov’è bagno?» chiese con quell’accento che stava cominciando a inumidirmi le parti basse.

Il barista cercò di riaversi ed emise un paio di grugniti all’apparenza incomprensibili. Tatjana gli si parò davanti con lo sguardo severo. Sembrava uno di quei terribili film d’azione americani in cui la femme fatale poteva tirare fuori da un momento all’altro una pistola, ovvio simbolo fallico, per far saltare le cervella al barista affetto da temporanea balbuzie.

«Di sotto a destra» s’intromise uno degli avventori, con la bocca impastata come se avesse avuto davanti una pinta di mastice al posto della Scura.

Scendemmo le scale, una volta fuori portata dai radar dei tre Tatjana mi sorrise: «Italiani, poca figa» disse.

«Altroché» annuii, «in Liguria specialmente, troppo mare e poco chiavare» le strizzai un occhio, «è come se qui alle donne desse fastidio godere.»

«A me no fastidio.»

«Non dirlo a me.»

«Io sapevo» disse dopo aver dato un’occhiata all’interno del bagno microscopico, «no sbianca culo tanto per…»

Sorrisi.

«Qui» disse, piegandomi in due su un tavolino dopo aver tolto le sedie che vi erano appoggiate sopra, «in quel bagno no posto nemmeno per topi.»

Non feci in tempo a razionalizzare la situazione che mi trovai piegata in due, con le tette appoggiate sul tavolo, mentre Tatjana fece scivolare di lato le mutandine del mio costume da bagno.

«Quando brucia culo» disse, «niente meglio di saliva» e cominciò a lavorarmi l’ano con la lingua, con un tocco e una maestria che nemmeno le più esperte delle mie colleghe potevano vantare. Mi sentii come se avessi vinto la lotteria di capodanno, mi rilassai e la lasciai fare, mugolando come un vacca in calore e sbavando abbondantemente sulle foto di Kurt Cobain infilate sotto il vetro del tavolo. Il fortunello continuava a prenderne anche dopo essersi fatto saltare le cervella.


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